Questo breve contributo non intende dare una risposta definitiva ad una domanda che ci si è spesso posti e che altrettanto spesso ci è stata rivolta, nel corso delle visite guidate da parte del GACom, ogni volta che ci siamo trovati di fronte alla Fonte della Mojenca, il cui singolare appellativo compare in bella vista sia sulla cartellonistica del luogo, sia nelle piccole guide turistiche. Si cercherà invece di offrire ulteriori spunti per maggiori approfondimenti in materia, sperando in una serie di risposte che incrementino le conoscenze su questo singolare toponimo.
Come in passato più volte pubblicato, la Fonte della Mojenca, situata presso il Parco Regionale della Spina Verde di Como, è una particolare struttura in pietra costruita in età protostorica per canalizzare le sorgenti d’acqua della zona circostante, monumentalizzandone l’aspetto: l’alveo fu arginato con la posa laterale di grandi pietre (di granito, serizzo, micascisto, arenarie e ciottoli di rincalzo), sopra alle quali furono poste grandi lastre orizzontali a copertura del canale che, a seguito del totale interro, assunse l’aspetto di una galleria con sbocco “a dolmen”. La galleria, restringendosi verso l’interno, si inoltra per circa 16-18 metri.
Una delle particolarità del sito risiede proprio nel nome, di origine molto antica. Si potrebbe dire che forse è uno dei pochissimi luoghi della Spina Verde che hanno ancora conservato il loro nome originario o comunque una sua deformazione.
In più lingue e dialetti è presente il prefisso moi, sempre con il suo richiamo all’umidità, ad esempio di un’area indicata dal toponimo all’interno del quale il termine fa parte. Una tale diffusione di moi potrebbe far pensare ad una derivazione indoeuropea, ma questo non è stato attestato con certezza.
Il nome Mojenca, presente appunto in Spina Verde, potrebbe derivare dal celtico muit o moier o da umru (tutti indicanti un luogo umido bagnato). Nei dialetti italiani è presente il lombardo moia, vale a dire “a mollo, bagnato” o anche “pantano”. Moiana, o nel dialettale moeuiv o moeujv, secondo uno studio sulla toponomastica brianzola significa appunto “paludoso”. Nel Mantovano si usa moi, mentre il piemontese moia indica esattamente “acquitrino”.
Nelle altre lingue antiche esiste però anche il termine greco moion (vaso, recipiente per liquidi), moomos (umido,bagnato) e myro (stillo, gocciolo), mentre nel latino c’è mollio (rendere molle).
Che la radice del nome si riferisca all’umidità, viene evidenziato anche nelle lingue moderne: moist in inglese, maos in irlandese, mouille in francese, moho (umidità), remojo (umido) e mojar (bagnare) in spagnolo, remull in catalano, mokiar in russo e in altri paesi dell’est europa, immuierea in rumeno, mouye in creolo.
Sempre nelle lingue moderne esistono altri termini che fanno riferimento ad aree umide: moyère (canneto) in francese, molhada (sorgente) in portoghese, mollada (sempre sorgente) in galiziano.
Persino nell’arabo al-moia e al-maah sono parole che indicano semplicemente l’acqua.
Nella toponomastica del Lazio, in più aree si trova il termine moiane. Un caso specifico è tra Tivoli e Guidonia (RM) dove Le Moiane su cui si trova il Casale delle Moiane è un’area in cui un tempo si osservava un ristagno delle acque meteoriche fino a provocarne l’impaludamento. Attualmente il terreno resta comunque acquitrinoso, anche se gli interventi moderni ne hanno in parte modificato l’aspetto. La zona è poco a nord della zona di Le Fosse, un’area che, insieme a molte altre circostanti, fu interessata in antico da sinkholes, i quali hanno fatto più volte risalire le acque sotterranee.
Anche nella toponomastica toscana, in particolare quella del senese, sono presenti i termini Poggio Moiane, Borgo delle Moiane e Casale La Moiana. Nelle Marche vi sono alcune antiche zone paludose conosciute con il nome di moia. Tornando alla Lombardia il termine citato è riscontrabile in più aree. Tra Cantù e Figino Serenza (CO) c’è una Cascina Moia.
Moiana è una frazione di Merone (CO), presso le sponde meridionali del Lago di Pusiano, che si trova nelle vicinanze di un’ampia fascia di canneti. Presso il lago, nel XVII e XVIII secolo, prima gli spagnoli e poi gli austriaci, provvidero con chiuse e canali a regolare il corso delle acque del Lambro che, entrando nel lago dalla sponda settentrionale, ne usciva presso Merone provocando danni dovuti a frequenti inondazioni e impaludamenti.
A Magreglio (CO) un antico monastero del XVI secolo è oggi conosciuto come Ca’ Moiana. Presso Urio (CO) c’è una zona chiamata, fin da tempi remoti, Moiana. Ad Appiano Gentile (CO) si trova la Valle del Moiana. Un’altra Cascina Moia è un complesso del XVI-XVIII secolo d.C. che si trova a Brugherio (MB).
Molti nomi di età medioevale sono allusivi a condizioni speciali dei luoghi. Moiana e Moiachina sono "terreni paludosi o acquitrinosi" (da molleus, moeuj, cioè umidiccio).
Altro interessante capitolo è la presenza del prefisso moi anche nell’onomastica italiana.
In Lombardia, nel varesotto, comasco e milanese, oltre al piacentino, è conosciuto il cognome Moia e Moja, derivante appunto da moja (a mollo, inzuppato).
I cognomi valdostani e piemontesi Moin, Moina e Moine potrebbero derivare dal francese Le Moine, che a sua volta proverrebbe dal termine tardo celtico moina (torbiera), da cui la possibilità che i capostipiti avessero a che fare con una torbiera.
Nelle Marche sono presenti i cognomi Mogliani e Mogliano, probabilmente dovuta ai capostipiti residenti nel paese di Mogliano (MC), il cui nome dovrebbe essere a sua volta derivante dal latino mollius.
I cognomi laziali Moiani, Moiano, Mojani e Mojano dovrebbero derivare dall’area reatina, in particolare da Poggio Moiano o da località con nomi dialettali simili, in cui moiano indica aree con terreno friabile.
L’elenco delle similitudini potrebbe proseguire oltre, ma come detto all’inizio, si è semplicemente voluto dare inizio ad una ricerca più approfondita che potrebbe dare sviluppi piuttosto interessanti.
Stefano Alivernini